lunedì 26 dicembre 2011

Tratto razziale

"Brutti segnali, ma Italia non è razzista", così titolava oggi un articolo de "La Repubblica", in cui il quotidiano  romano riportava la frase del Ministro della Cooperazione internazionale Andrea Riccardi.
Andrea Riccardi, però, prima di divenire ministro era, ed è ancora, uno storico. come ogni storico ben sa, la situazione che si sta creando in Italia non fa per nulla pensare che nel nostro paese non ci sia il razzismo e che esso non si manifesti in diverse forme in ogni luogo della società. Io non so se Riccardi abbia mai assistito ad una scena di vita quotidiana, scene in cui gli italiani inneggiano al fascismo o, in casi estremi, anche all'hitlerismo. Non so se il neo Ministro ha assistito alla puntata di giovedì sera di Servizio Pubblico in cui c'è un video che racchiude un momento di discussione, su un autobus, dove c'è una discussione tra un extracomunitaro e un cittadino del sud Italia. Quest'ultimo inneggia all'hitlerismo, parla senza capire neanche cosa stia dicendo, ma la cosa che sconvolge e che, nella sua ignoranza, crede a ciò che dice e questo rende il tutto ancora più grave.
Cambiamo luogo, cambiamo esempio, spostiamoci nel luogo più comune per gli italiani amanti del calcio, lo stadio. Dentro gli stadi, durante le partite di pallone, si sente sempre qualche coro razzista, si sono avuti casi in passato in cui il giocatore colpito da questi cori razziali ha preso il pallone e bloccato il gioco (giustamente) anche se le regole non glielo permettevano. Incredibile come le persone si lascino trasportare, inconsciamente o meno, in inni contro un giocatore. La differenza dal primo esempio è che per far partire un coro in uno stadio non bastano due o tre persone e non ne bastano neanche una ventina. Questi cori, solitamente, partono da un'intera curva, dove li ci sono almeno una cinquantina di persone. Come è possibile oggigiorno che circolino ancora queste ideologie?
Ora, focalizziamoci sugli avvenimenti recenti, uno di questi è stato quello, ormai noto a tutti, in cui una ragazzina, per coprire un rapporto con il proprio ragazzo, ha mentito ai genitori dicendo di essere stata stuprata da dei rom. Dai qui è partita una pacifica fiaccolata, sfociata nella distruzione di un campo rom, messo a fuoco da degli estremisti, con tanta foga e tanta violenza che io credo non si tratti di qualcosa a cui non prestare attenzione.
Dove voglio arrivare? E' presto detto. In Italia persiste una mentalità, che è quella del razzista, che ascolta ciò che dice la televisione, piena di soggetti immeritevoli di trovarsi in quel posto, e continuamente sottoposta a bombardamenti mediatici in cui si assistono a notizie di rom che compiono stupri o violenze. L'Italiano tende a diffidare da persone straniere, etichettandole tutte come indegne di trovarsi nel nostro territorio e inneggiando ad una forma di nazionalismo. Questo problema, purtroppo, non si ferma solo tra il ceto medio ma ha i suoi rappresentanti nella politica. Nel nostro paese c'è la Lega, che giornalmente inneggia al razzismo, parla di "terroni", si esprime in modo molto colorito nei confronti degli emigrati e si vanta parlando al "popolo padano". Chi magari sente un Bossi o un Calderoli dire certe cose tende a lasciar correre etichettando il movimento come qualcosa di anomalo. Ma se il movimento leghista fosse così isolato non avrebbe un 8-9% dei consensi. A questi vanno aggiunti gli aderenti al Movimento Sociale Italiano (MSI) che definirli fascisti è un complimento. Ma la rappresentanza politica in questo brutto capitolo non termina qui. Il fatto di considerare l'omosessualità come qualcosa da discriminare perchè "il concetto morale non lo accetta" è una forma di razzismo. Mi spiace per quelli che parlano tanto di tolleranza e poi dinanzi ad un gay lo trattano con disgusto, questo è razzismo.
Ora non si più dire che l'Italia sia un paese tollerante, io definirei il paese in uno stato molto vicino alla Germania guglielmina , dove iniziò a crearsi quella forma di nazionalismo che con il passare degli anni, degli eventi e delle mentalità ha portato un evoluzione del pensiero nazionalista, una radicazione fino a sfociare nel periodo attorno agli anni 20 e agli 30 in cui l'intolleranza alla diversità ha portato al potere il nazismo.
Troppo esagerato? Forse. Però io mi suffermerei su questo tema, sempre più radicato nella mentalità italiana e non solo. Infatti il nostro paese non è l'unico ad avere forme di razzismo molto accentuate, un tipico esempio lo si ha dai francesi, tanto polisti quanto ipocriti sul tema dell'immigrazione. La situazione politica del pre-nazismo non vedeva solo la Germania e l'Italia nelle posizioni di razzismo ma, bensì, tutta quanta l'Europa.
Ma questo è il periodo di natale, si è tutti più buoni, gli estremisti della destra mettono da parte il loro odio verso le comunità estere e si siedono attorno la tavola, magari pregano, ed accanto a loro un presepe, che rappresenta una religione, un simbolo, un nazzareno, un extracomunitario.

lunedì 19 dicembre 2011

Massimo Picozzi - Le regole

Alcune volte delle semplici regole possono creare una religione, è il caso delle due, tra le tre, grandi religioni monoteiste, che hanno fondato tutto il loro credo e tuta la loro cultura attorno alle Tavole della legge su cui sono incisi i Dieci Comandamenti. Altre volte le regole generano un credo ateo, un credo che serve alla società per sopravvivere e serve agli stati per autogestirsi, spesso attraverso l'ausilio di una Costituzione. Ne "Le regole" di Massimo Picozzi le leggi tornano ad essere protagoniste di una comunità di individui perfettamente organizzati, il mondo dell'FBI.
Il romanzo gira attorno ad un ex membro dei servizi segreti americani, che durante il servizio assume il ruolo di negoziatore, comprendendo perfettamente l'importanza di determinate regole durante determinate situazioni. La vicenda narrata si apre dentro una banca, dove Michael Akke, il nostro protagonista, è coinvolto nel pieno di una rapina a mano armata da parte di un rapinatore a volto coperto. Egli ha già dimostrato di non essere un novellino, avendo già colpito il cassiere della banca con il calcio del proprio fucile, un P90.
Da qui parte un flashback degli ultimi anni della sua vita, in cui ripercorre la sua ascesa al successo, da quel giorno in cui fu chiamato ad affrontare una conferenza in cui ripercorre una breve storia della negoziazione e di quanto essa sia importante per determinare la vita e la morte di centinaia di persone. Michael era stato chiamato a presentare quella conferenza in qualità di ex negoziatore e quindi esperto del settore, nonostante la sua autorità egli fu contestato da una donna, Nadine, che irritata da determinate dichiarazioni del presentatore durante il convegno,  si alzò ed uscì dalla sala, lasciando al protagonista un momentaneo senso di stranezza; Ancora non sapeva che quella donna sarebbe divenuta sua moglie.
Nadine era una donna forte, da un carattere dominante e amava prendere in mano la situazione, in qualunque occasione. Aveva sentito parlare bene di Michael durante un colloqui con il proprio rettore e da qui aveva iniziato ad interessarsi a lui. Chiese a Michel di accompagnarlo durante un viaggio per farsi perdonare del suo comportamento scorretto durante il convegno. Durante questo viaggio la relazione tra i due sembra saldarsi, sino a divenire compagni nello stesso letto.
Dopo l'esperienza del viaggio i due continuano a frequentarsi fino a decidere di sposarsi e di vivere assieme. Durante gli anni della loro relazione Michael fu convinto dalla moglie ad accettare il lavoro presso l'università dove precedentemente aveva tenuto la conferenza e dove i due si erano incontrati per la prima volta. Quando le loro vite sembrarono unite, Nadine scoprì il talento narrativo di Michael e lo convinse ad unire la sua abilità con le sue conoscenze di negoziazione, creando un libro dedicato ai dirigenti e sul rapporto con la clientela e dei dipendenti. Il libro ha molto successo e catapulta il neoscrittore in un clima a lui sconosciuto, quello della fama.
La moglie di Michael non sembra contenta, così decide di portare il denaro guadagnato in Costa Rica, cercando di aggirare il marito ma lui, da ex agente FBI, finge solo di assecondarla o per lo meno, cerca di non contraddirla. Di lì a poco le cose cominceranno a mutare, attorno ad una storia che ometto di raccontare per lasciarvi il gusto di assaporarla e di essere esterrefatti così come me quando alla fine il quadro delle cose sembrerà mutare, quando le regole della negoziazione sembreranno efficaci ma che non prevedono mai l'eccezione, che sulla carta è tutto facile ma che la realtà riserva sempre qualcosa di inaspettato. il piccolo romanzo sa creare una storia attorno al protagonista, portandolo forse alla pazzia dovuta ad un'inspiegabile conclusione della vicenda in cui si ritrova coinvolto dall'inizio della storia.

sabato 10 dicembre 2011

Le Neoavanguardie

Questi giorni sono stati molto importanti e fondamentali per l'Italia e per tutto il sistema europeo. Lunedì scorso si è presentata la manovra "Salva Italia" in cui il neo eletto Presidente del Consiglio ha elencato i "sacrifici" che ogni italiano dovrà fare per risanare questa crisi che ha investito pesantemente il nostro paese. La manovra presentata è di 30 miliardi di euro, ma solo 24 saranno effettivi. Infatti, i restanti 6 miliardi verranno investiti per favorire la crescita del paese, migliorando, si spera, la sanità e l'istruzione e favorendo il lavoro nel nostro paese. Tutto magnifico, sembrerebbe, ma forse dobbiamo capire come verranno ricavati quei 30 miliardi necessari per la manovra.
Il tema più discusso è quello delle pensioni, che saranno slittate ad un'età di 66 anni per gli uomini che salirà gradualmente, fino al 2022, dopo di che, sempre gradualmente, si arriverà a 67 anni per assestarsi a 67 anni e 7 mesi per tutti quelli che andranno in pensione dopo il 2025.
Discorso a parte, ma non del tutto, si avrà per le donne, che attualmente vanno in pensione a 62 anni di età, che si vedranno innalzare l'età pensionabile in modo più netto, passando a 63 anni già dal prossimo anno, a 64 anni nel 2014, 65 nel 2016 fino a giungere a 66 e 6 mesi dal 2019 in poi.
Questo incremento dell'età pensionabile eviterebbe il pagamento delle pensioni imminenti e quindi un risparmio dello stato che dovrebbe fruttare 16,8 milioni di euro. Un pò di numeri a riguardo, vorrei scendere più nel dettaglio in questa manovra storica:
2.5 milioni derivano dal 14.7% dei lavoratori che di pensione dovrebbero ricevere il minimo, ovvero di 480 euro al mese. Questa categoria manterranno un adeguamento pieno all'inflazione, ovvero se il costo del denaro mutasse la pensione verrebbe modificata a tal punto che non risulterebbero modifiche.
5.3 milioni deriveranno dal 31.8% degli italiani che avranno una pensione tra i 480 euro e i 960 (ovvero il doppio), anch'essi subiranno un adeguamento pieno all'inflazione.
successivamente a questa soglia si sta proponendo, da parte dei partiti del centrosinistra, un ulteriore tetto fino a 1400 euro di pensione che abbia un adeguamento pieno. Infatti la fascia superiore ai 960 euro di pensione non avranno adeguamento all'inflazione e questa fascia sarà quella che frutterà più capitale, con 9 milioni di euro, in quanto ne rientra il 53,5% degli italiani.
Guardiamo l'altra faccia della moneta, è vero, lavorare per 42 anni (o 41 per le donne) non è facile, i sindacati parlavano del "40" come un <<numero sacro>>, ma noi siamo anche cittadini europei, non dobbiamo esserlo solo quando si tratta di ricevere finanziamenti (mal gestiti per giunta) o quando ne traiamo beneficio. In Belgio si va in pensione a 65 anni per entrambi i sessi; in Danimarca si va a 65 anni e tra il 2024 al 2027 le pensioni slitteranno a 67; in Finlandia si va già in pensione a 65 anni e, in caso di pensione con sistema contributivo, di va dai 62 anni ai 68; 62 in Francia, che andranno aumentando di 4 mesi all'anno per raggiungere la quota stabilita (66 anni) nel 2018; I cugini spagnoli passeranno dagli attuali 65 anni a 67 nel 2018; stesso discorso per i tedeschi, che non aspetteranno il 2018 ma già dal prossimo anno cominceranno a ritardare i tempi di pensionamento; Gli inglesi attualmente vanno in pensione a 65 anni mentre a partire dallo scorso anni, c'è un aumento dell'età pensionabile che nel 2020 si arresterà a 68 anni;
Insomma, non siamo certo i più sfortunati, anzi, considerando che sino ad oggi l'età di pensionamento italiano del gentil sesso, possiamo ritenerci anche graziati. Occorre ricordare che bisognerebbe distinguere il tipo di lavoro, come ho già detto in precedenza. In molti dei paesi che ho elencato non c'è un limite al quale tu lavoratore devi lasciare il lavoro. Ovviamente l'operaio tenderà ad andare in pensione mentre il professore o il giornalista tenderà a restare. In Italia abbiamo questo fenomeno del nonnismo in cui le persone rimangono attaccati al proprio posto impedendo il cambio generazionale, gravando sulla posizione dei giovani e contribuendo alla loro disoccupazione. Bene, io per "incentivare" l'uscita del lavoratore comincerei con imporre una tassa a chi va oltre l'età di lavoro, in modo da garantire un ricambio generazionale. Quello delle pensioni è un discorso molto difficile in cui non mi permetto di dare soluzioni ma mi limito ad osservare i fatti, vorrei, infine, ricordare che con l'aumento delle pensioni si avranno ancora meno posti di lavoro e lo stato, con i soldi che ricava da questa misura, deve impegnarsi a garantire posti di lavoro per chi vorrebbe lavorare altrimenti si rischierà di incorrere in un ristagno della classe lavorativa italiana.

venerdì 2 dicembre 2011

Due anni in più

Questa mattina il Corriere della sera apre la prima pagina con un'eccellente editoriale di Giampiero Dalla Zauna, in cui egli si pone un ottimo quesito: <<è veramente possibile lavorare fino a settant'anni e oltre?>>. La domanda nasce dopo che per mesi si è discusso sulla possibilità di poter alzare l'età pensionabile e di portare questa ad una soglia superiore di uno o due anni. Finalmente, da una settimana a questa parte, pare che discussione sia terminata, quando il neo primo ministro Mario Monti ha annunciato che lunedì ci saranno riforme al sistema pensionistico. L'editorialista, dunque, si domanda se con l'aumento dell'età pensionabile non ci siano delle ripercussioni troppo dure. Per rispondere a questa domanda Dalla Zauna, numeri alla mano, comincia elencando come negli ultimi anni l'età media di vita degli italiani sia aumentata in entrambi i sessi. Per la precisione, secondo le fonti del giornalista, gli uomini hanno aumentato la loro aspettativa di vita di ben 9 anni rispetto a trenta anni fa, passando da 70 a 79 anni, mentre la donna è passata dai 77 agli 84 anni, aumentando la propria aspettativa di 7 anni. Inoltre, aggiunge l'editorialista, il fatto di andare a lavorare fa in modo che il cervello rimanga più integro e sano rispetto a chi smette di lavorare. Insomma, sembra che il fatto di aumentare la pensione di due anni non sia poi così grave.
Come precisa lo stesso Dalla Zauna, non è tutto così semplice. Bisogna tener conto di molti fattori, il primo di tutti è la differenzazione tra le categorie di lavoro. Per un lavoratore intellettuale (vedi giornalisti, professori, ecc...) andare in pensione due anni più tardi non pesa, anzi, io sono convinto che in alcuni casi faccia anche piacere restare più tempo nel proprio posto di lavoro. Stesso discorso non si può dire di chi, come moltissimi italiani, soprattutto della classe medio-bassa, compie lavori usuranti, dove già un mese in più di lavoro peserà per il resto degli anni. Per questo motivo il governo deve distinguere questi due tipi di lavoro e utilizzare due fasce di pensionamento diverso.
Ora, sempre nello stesso editoriale, Dalla Zaura propone una soluzione al sistema di pensionamento, quello di portare il lavoratore in una condizione in cui superata una soglia di età si comincia ad avere una riduzione del lavoro, riducendo quindi la fatica, e dimezzare lo stipendio, che verrà integrato con una pensione minore. questo non comporta alcun costo, evita un affaticamento del lavoratore e nello stesso tempo comincia a ridurre i costi della pensione. Certo non può avere lo stesso effetto di mandare direttamente in pensione a 66 anni, ma almeno creerebbe una via di mezzo tra chi vuole un innalzamento della pensione e tra chi, come i sindacati, è ferreo sui 40 anni di lavoro.
Certo è che tra pensioni, ici, tasse e riduzione di imposte sul lavoro, riforme strutturali e modifiche ai vitalizi e alle pensioni dei parlamentari, lunedì avverà una modifica completa alle strutture del nostro paese. Le borse hanno preso bene questi annunci, la fiducia nel nuovo governo sembra essere molto alta. Le borse di tutto il mondo escono da una settimana molto positiva, la migliore degli ultimi due anni e Piazza Affari porta la maglia rosa, con aumenti del 4% e oltre. Anche il differenziale dei titoli decennali  tra BTP e Bund tedeschi (lo spread per capirci) è sceso, dai 490 dell'inizio della settimana oggi è sceso a 425.

lunedì 28 novembre 2011

La fine di un'esperienza

I francesi, come abbiamo visto, si insediarono nella penisola italiana senza non poche polemiche, il loro comportamento aggressivo, al di là delle modernizzazioni e del progresso scientifico che hanno portato con il loro insediamento, ha sollecitato una grandissima ostilità da parte della popolazione italiana, specialmente nelle popolazioni rurali, che daranno vita a molteplici disordini. La situazione precipita nel marzo 1799, quando l'esercito russo e quello austriaco, alleandosi, compiono una pesante offensiva nei confronti della Francia attraverso la Pianura Padana.
Gli sconti sono preceduti da un grandissimo numero di rivolte all'interno della penisola e di origine diverse a seconda del luogo. Ma in tutte le rivolte un sentimento comune le lega, quella di difendere aspetti della vita sociale, come i valori della chiesa cattolica e i privilegi delle comunità locali.

Lo stemma della Repubblica di Genova
Le truppe francesi, dunque, sono costrette a retrocedere e ad abbandonare i territori italiani, fino a giungere nel dicembre del 1799 quando la Francia sarà costretta a rinunciare a tutti i territori, eccezion fatta per la Repubblica di Genova, e a riconsegnare i vecchi territori ai legittimi sovrani.
La popolazione, che spesso non accettava il ritorno del sovrano, fu repressa, molto spesso, nel sangue.

La vita politica nelle repubbliche

A guardare la cartina politica italiana durante il Triennio repubblicano non ci aiuta certamente ad immaginare il paese in procinto di unirsi sotto un'unica bandiera. L'unificazione dell'Italia è un argomento che non passa minimamente nella testa di Napoleone ne, tanto meno, in quelle del Direttorio francese. I motivi di questa esclusione sono presto detti: la Francia aveva interesse nel creare in Italia una serie di stati cuscinetto in modo da crearsi una maggior protezione contro l'altro grande impero dell'Europa occidentale di quel periodo che è l'impero d'Austria. Questi stati cuscinetto, inoltre, garantivano un costante flusso di entrate economiche e una fonte di risorse per l'Armata d'Italia, garantendo a quest'ultima anche un buon avamposto sul fronte austriaco.
Importante è, infine, l'equilibrio che si viene a creare tra il ministro degli esteri francese, i commissari civili e i militari che prestavano servizio nel territorio.
Il ruolo dei piccoli stati cuscinetto aveva anche un ruolo politico e, all'occorrenza, sarebbero potute divenire anche oggetti di scambio o di cessione.

martedì 22 novembre 2011

I patrioti e l'idea unitaria

Le diverse idee di elaborazione socio-politico del Triennio hanno alla base una convinzione ampiamente diffusa tra l'opinione pubblica <<patriotica>> : ovvero che la sovranità sia riposta nel popolo-nazione e che la virtù più importante sia il patriottismo. L'idea secondo cui la sovranità spetti a un soggetto unico, e che nei suoi confronti si debba manifestare una virtuosa e illimitata lealtà patriottica, criticando le divisioni politiche, che possono spezzare l'unità nazionale. In queste ipotesi, però, non si nominano ne la nazione ne la patria a cui ci si riferisce, scaturendo così una serie di interpretazioni. C'è che parla di "nazione napoletana o, addirittura, di "nazione piemontese". Alcuni testi, con il termine nazione o il termine patria, si rivolgono alla Repubblica Cisalpina o Cispadana. Parallelamente a questo discorso, comincia a maturare l'ipotesi di uno stato unitario, che raccolga tutti gli italiani. A sollecitare tale impresa si impegna intensamente Filippo Buonarroti, discendente del più celebre Michelangelo. Egli svolgerà il ruolo di mediatore tra i soldati dell'Armati d'Italia e gli italiani favorevoli alla costituzione di una repubblica francese.
Filippo Buonarroti
I centralisti, intanto, insistono con forza politica e militare e sulla coerenza politico-amministrativa, affinchè si abbia l'istituzione di un'unica compagine repubblicana. I federalisti, d'altro canto, affermano che le diversità storiche e culturali che caratterizzano le varie parti della penisola farebbero preferire una soluzione federale. Due aspetti emergono ideologie, la loro attenzione si concentra soprattutto sule questioni di carattere politico-costituzionale, ci si interroga se il nuovo stato debba prendere il modello di Rousseau o se debbano esserci forme chiare di divisione dei poteri; sui quali debbano essere le linee della politica economico-sociale; se le repubbliche debbano essere autonome, oppure federali o sia opportuna una repubblica <<una e indivisibile>>. Ovvero che la nazione italiana esiste e che ha diritto a una sua espressione statale. Nei testi dei patrioti, sia essi centristi, sia essi federali,  compare chiaramente che una grande nazione dia maggiori garanzie di forza e di indipendenza rispetto ad una costellazione piccole repubbliche autonome. Naturalmente a Napoleone e al Direttorio francese questa opzione non era molto comoda, essi puntavano ad evitare la formazione di un nuovo grande stato confinante con la propria nazione. Dividi et impera.

lunedì 21 novembre 2011

Il dibattito politico-costituzionale tra i patrioti

Il lessico dei patrioti posava le sue fondamenta sopra due parole: Democrazia e Repubblica. Da queste due parole si aprono infiniti discorsi sulla formazione di un possibile stato e sulle forme istituzionali che esso dovrebbe assumere. Possiamo riassumere queste proposte in due diversi progetti di repubblica.
Una prima ipotesi, ripropone, con alcune modifiche, il "contratto social" di Rousseau, escludendo, però, la parte in cui egli tratta il tema della sovranità politica, che, secondo i patrioti, dovrebbe essere espressa attraverso organi rappresentativi, diversamente dalla democrazia diretta che il pensatore francese idealizzò.
Un secondo progetto si sviluppa sulla divisione dei poteri, sempre precedentemente teorizzata da Roussau, nella quale il potere legislativo sia autonomo del potere esecutivo, ed entrambi non debbano per alcun motivo interferire con il potere giudiziario, che svolge il ruolo di garante della repubblica.
A queste proposte si affiancò l'idea di una stato che tutelasse le uguaglianze civili e, per questo motivo, spunta, accanto a questa proposta, l'idea di privilegiare le riforme di carattere socio-economico più tosto che quelle di carattere costituzionale, al fine di stabilire l'uguaglianza, sia di carattere civile, sia di carattere economico, a tutti i cittadini.
Ecco quindi giungere anche la proposta di equità dei sessi sui diritti politici. Altri, seppur più timidamente, chiedono la cancellazione delle differenze di genere. Di contropartita, spunta anche la voce di chi non vorrebbe la partecipazione delle donne in politica, in quanto essa sia dipendente della figura del maschio, che sia il padre, che sia un fratello o un marito, e fa di essa una persona non libera di esprimere la propria opinione.

L'opinione pubblica del Triennio

L'accoglienza riservata alle truppe francesi non fu proprio delle migliori, infatti essi furono accolti con molta violenza. In questo periodo si susseguono insorgenze e movimenti antifrancesi, soppresse con rapidità dalle truppe napoleoniche. Mentre nelle piazze e nelle vie si vengono a creare movimenti di protesta, l'opinione pubblica non ha una posizione ben precisa degli avvenimenti che vedono coinvolto il paese in questo momento. Essa si divide principalmente in tre filoni: un primo, moderato e filo-francese, un secondo, vicino alla casata degli Asburgo e, infine, un terzo filone radicale e filo-giacobino. Queste tre posizioni non passano inosservate e lo stesso Napoleone si dedica ad osservarle accuratamente, dando maggior importanza al filone radicale e filo-giacobino, considerandola come un'area prevalsa da giovani proveniente da tutte le classi sociali, con buona formazione intellettuale, che tendono ad autodefinirsi <<patrioti>>, ma sono considerati <<giacobini>> dai propri avversari.

sabato 19 novembre 2011

Il mercante di libri maledetti

Come amante del romanzo storico, sono felice che finalmente qualche nuovo libro di questo genere. Bene, andiamo subito ad analizzarlo. Il nuovo romanzo di Marcello Simoni è uno di quei thriller da leggersi tutto in un fiato. Il romanzo, nel metodo di scrittura, richiama molto Il codice da Vinci, con la sua rapidità degli avvenimenti, con la divisione dei piccoli capitoletti e frasi brevi (come ormai tutti i romanzi odierni). La narrazione del romanzo è identica a quella del romanzo di Down Brown, come, per esempio, l'inizio del romanzo con descrizione di un fatto iniziale che avrà ripercussioni su tutto il romanzo. La storia è molto valida, dopo anni si torna con un romanzo ambientato nel 1200 (per la precisione il 1218) e tutta la storia ruota attorno a Ignazio da Toledo, un mercante di reliquie e dei suoi due compagni di viaggio Willalme, un francese abile con le armi e da Uberto, un giovane ragazzo che Ignazio prenderà con se all'inizio di questa avventura.
Tutto nasce quando Ignazio viene chiamato a Venezia da un nobile che lo incarica di ricercare un oggetto molto caro: l'Uter Ventorum. Questo oggetto non è solo caro al nobile, ma è anche legato, strettamente, al mercante di Toledo. Il viaggio comincia da un monastero, dove Ignazio era stato ospite anni prima e con cui stesse un gran legame con il vecchio abate e a cui lasciò il suo tesoro, promettendo che sarebbe tornato a riprenderlo. Quando Ignazio giunge nel monastero dopo anni, ad accoglierlo non trova il suo caro e vecchio amico, bensì un nuovo abate, succeduto al precedente dopo che esso è morto. Durante il dialogo viene risaltato il carattere di Ignazio; un carattere astuto e razionale, molto sospettoso del nuovo abate. La conversazione con l'abate ha un fine per Ignazio, quello di chiedere di poter portare con se un giovane che risiedeva in quel monastero dalla sua nascita: Uberto.

Il viaggio sarà molto avvincente e vedrà coinvolti Italia, Francia e Spagna, in un viaggio che narra vicende come l'assedio di una città o l'ebbrezza di una fuga a cavallo in piena notte, i misteri dell'alchimia di quel tempo e i pellegrinaggi nelle zone di culto. Ma ovviamente non è un viaggio così semplice, infatti sulle tracce dell'Uter Ventorum non c'è solo il marcante di Toledo e il nobile veneziano, sulle sue tracce, assieme a loro, c'è anche una setta antichissima: la Saint-Vehme, con cui si ha a che fare già dalla seconda pagina del romanzo.
Per chi ha letto Il nome della rosa di Umberto Eco forse storcerà il naso, dato che, almeno per la prima parte del romanzo, sembri molto simile. La prima impressione che mi ha dato il libro, infatti, è quello di un mix del romanzo di Eco con quello di Down Brown.

Un punto a favore di questo libro è il prezzo. Il romanzo, pubblicato dalla Newton Compton Editori, anche essendo uscito recentemente, ha un prezzo di copertina di 9.90€, per 347 pagine da gustare. Forse non è un libro che passerà alla storia, ma è un ottimo romanzo d'esordio di un giovanissimo scrittore (classe 1975) e il 2° posto raggiunto nelle classifiche italiane lo dimostra perfettamente. Certo è che bisogna ammettere  che questo periodo non ha visto molti romanzi di questo genere e questa novità ha attirato moltissimi lettori del genere, me compreso.

giovedì 10 novembre 2011

Mari e Monti

Per molti questa immagine ha generato una strana gioia
Come si è visto in questi giorni la crisi mondiale, che va avanti oramai da circa 3 anni, ha colpito e travolto con tutta la sua foga il nostro paese, mettendolo a nudo di tutti i suoi problemi. In queste ore, si sta lavorando su quella legge di stabilità con cui questo governo, come ben sapete, metterà la parola fine alla sua, travagliata, avventura. Infatti Berlusconi ha già annunciato le sue dimissioni appena sarà approvata la legge in questione. La decisione è stata presa dopo che alla camera il rendiconto generale dello Stato è stato approvato con 308 voti favorevoli e 321 astenuti, segno inconfondibile che la maggioranza alla Camera non c'era più. Berlusconi per tutta la durata della valutazione è stato molto cupo e non ha alzato quasi mai lo sguardo se non per vedere quel tabellone su cui compariva quel 308 che lo ha, forse, convinto a lasciare la poltrona di Presidente del Consiglio (come San Tommaso, non credo se non vedo). Ma siamo sicuri che sia la fine di Berlusconi? Siamo sicuri che questo sia il tramonto dell'uomo che è stato protagonista per 20 anni della scena politica e che per 9 anni lo ha presieduta? Il fondatore di Mediaset è una persona scaltra: anche se ha già annunciato personalmente le sue dimissioni, appoggiando il possibile governo Monti, egli ha, però, contemporaneamente  ha anche annunciato che potrebbe tornare a ricandidarsi alle prossime amministrati se il suo partito lo chiedesse. Ma come, un anno fa aveva incaricato Alfano, all'ora Ministro della Giustizia, a guidare il PDL e ora, quando i tempi di Berlusconi sono finiti, si vorrebbe riprendere la guida del partito? Con la frase <<Mi ricandiderò se il mio partito me lo chiederà>> Berlusconi ha già dato per scontato che tornerà a presentarsi le elezioni, perchè? Mi spiego meglio, il PDL è stato fondato dallo stesso Berlusconi e, durante il suo tragitto, ha perso vari pezzi di persone scontente della sua politica, a partire dai finiani che si sono sfilati il 14 dicembre per poi passare per quelli che hanno optato per andare nell'ovile dell'UDC o, come sta accadendo in questi giorni, uscire per fondare partiti autonomi. I così detti "traditori", come gli ha indicati lo stesso capo dei ministri, hanno determinato la fine dell'attuale governo. L'anno scorso, sempre tornando a quel 14 dicembre, i parlamentare che salvarono il governo, passando dai banchi del PD e dell'IDV, non erano stati indicati come "traditori" ma , bensì, come "Eroi" o "responsabili" che avevano compiuto quella decisione per salvaguardare il paese.
Va bene, tralasciamo questi particolari e concentriamoci, invece, di questo momento di svolta, in particolare mi riferisco alla nomina di Senatore a vita di Mario Monti da parte di Giorgio Napolitano. La nomina, avvenuta ieri sera verso le 19.30, quindi a mercati chiusi,  è stata più che una semplice nomina di un senatore a vita. Mario Monti, classe 1943, è un economista ed è stato prima preside della Bocconi e poi, per un decennio (1994-2004), è stato Commissario Europeo.
Mario Monti
La nomina a senatore a vita è stato un colpo di genio del capo dello stato, che con un colpo solo non solo fa capire che il governo Monti è vicino ma che questo non sarà un governo tecnico ma un governo vero e proprio, ma soprattutto, il Presidente della Repubblica, ha dato un segnale forte ai mercati, che hanno risposto con un ribasso, questa mattina, dello spread. Questa nomina, probabilmente, è stato favorito anche dal fatto che Napolitano non ha mai visto di buon occhio i governi tecnici.
Ora che Berlusconi si è dimesso, Zapatero aveva già annunciato elezioni anticipate e il Leader greco Papandreus ha lasciato proprio oggi il passo a Lucas Papademos, possiamo parlare del cambio della guardia di tutti e tre i paesi europei su cui pesava la speculazione dei mercati. Le dimissioni dei "tre moschettieri" potrebbero permettere un ricompattamento, mercato permettendo, dell'economia europea. A questo punto non si può perdere tempo, la ferita è stata purificata ma potrebbe infettarsi nuovamente se non la si protegge. Ora bisogna fare un esame di coscienza, rendersi conto che ora bisogna riformare l'Europa, dare un potere effettivo al Parlamento Europeo e dare alla moneta una solida base su cui contare. Tutto questo permetterebbe di dare, forse, la spallata alla crisi e mettere la parola fine alla crisi europea.

martedì 8 novembre 2011

Risiko!

Forse non ce ne rendiamo conto perchè i media sono concentrati sul nostro territorio, ma forse alcuni se ne sono accorti. Di cosa sto parlando? Parlo della prossima guerra che scoppierà a breve. Immaginate il tabellone del Risiko, se non lo avete a mente vi facilito il lavoro con un immagine qui accanto, bene, ora immaginate che il territorio bellico siano i paese subito accanto ai territori europei. In queste aree troviamo la Libia, l'Iraq, l'Afganistan e, infine, il nuovo territorio di guerra, quello dell'Iran.
Quanti ricordi
L'Iran è uno dei più grandi paesi produttori di petrolio, confina con l'Iraq e è uno spartiacque tra la cultura asiatica e quella araba, anche se, ufficialmente, non privilegia nessuna delle due culture. L'Iran non viene mai chiamata in ballo ufficialmente, spesso si usa indicarla con il nome della propria capitale:  Teheran. La nazione è una repubblica islamica e ha un governo teocratico.
Il motivo di questa disputa, a quanto pare, sarà il fatto che il paese, secondo le informazioni degli agenti che hanno compiuto il controllo sul territorio, l'Iran stia costruendo armi atomiche. Sarà vero?  Il paese ha cominciato ad utilizzare ufficialmente il nucleare, a scopi unicamente civili, già da venti anni a questa parte, costruendo centrali nucleari con tecnologia principalmente fornita dalla Russia, per cercare di ridurre l'utilizzo del petrolio e la dipendenza da esso, infatti il paese consuma il 40% del greggio estratto nel proprio territorio.
Cosa ha costretto l'Iran a prendere la decisione dell'arricchimento nucleare? Per rispondere a questa domanda bisogna conoscere un po' di geografia; gli Stati Uniti (guarda caso loro ci sono sempre) hanno aumentato il numero di basi militari attorno al confine iraniano, infatti essi hanno basi militari in Iraq, Afganistan, Pakistan e in Turchia, accerchiando completamente la vecchia Persia. Il rapporto tra gli USA e l'Iran non è dei migliori, infatti, la decisione di arricchire l'uranio ha portato a far pensare che si stesse tramando la costruzione di armi nucleari e, quasi in risposta, l'ONU ha più volte sanzionato il paese. Sanzione che è arrivata anche da parte degli stessi USA nel 2010 e nel 2011 il nostro caro Sarkozy ha attaccato duramente l'Iran con parole dure riguardo ad un attacco preventivo ma, al tempo stesso, questo attacco provocherebbe una crisi che la Francia non vorrebbe.
Manca solamente la voce "Arrenditi, sei circondato"
Il fatto è che l'Iran non è un paese qualunque, l'Iran è un paese molto vicino ad un grande colosso, ormai, dell'economia e della potenza militare, sto parlando della Cina. L'Iran, oltre ad essere una fonte primaria di petrolio, è anche il paese che si affaccia sul Golfo persico e in cui sarà estratto, secondo un post di Beppe Grillo, "il 30% dell’intero fabbisogno mondiale, controlla l’energia e chi controlla l’energia controlla il pianeta. La richiesta crescente di energia (la sola Cina passerà dagli attuali 7 milioni di barili al giorno a 16, 5 milioni nel 2030) coinciderà con la concentrazione dell'estrazione di petrolio nel Golfo Persico." Questo quindi porterà la Cina a fare la voce grossa per impedire che gli USA conquistino, una guerra dopo l'altra, tutto il Medio Oriente.

E si, oramai la guerra libica si è conclusa, bisogna continuare ad avere un nemico per portare l'opinione pubblica ad unirsi contro un nemico comune. Il liberare presidente Obama, per quanto io lo abbia appoggiato all'inizio del suo mandato, si è rilevato quello che realmente è: un Presidente degli  Stati Uniti d'America e come tale deve pensare all'economia delle sue industrie e dei traffici ed esse legati.

venerdì 4 novembre 2011

Accusatemi di vilipendio

Oggi si è svolto il G20 a Cannes che ha visto come principali obiettivi quelli di risolvere la crisi, soprattutto di salvare l'Europa, esposta ad una grandissima speculazione.  Il vertice, come ho già detto nel precedente articolo di ieri, ha visto interessati la Grecia, la Spagna e il nostro paese. Dal G20 è uscito un dictack  diretto a Papandreu, che si è visto con le spalle al muro quando la Merkel ha intimato, senza tante parole,  la cacciata della Grecia dalla comunità europea in caso si attuasse il referendum. Poi, superato il problema Grecia, si è passato al problema Italia, con la richiesta di misure rapide e drastiche. Non mi va di commentare la solita uscita di Berlusconi che dice che nel nostro paese la crisi non è poi così sentita dato che i ristoranti e voli di linea sono sempre pieni, no, non ho intenzione di criticarlo, sarebbe come sparare sulla croce rossa. Mi volevo focalizzare un momento sulla vicenda che è avvenuta dopo il vertice, vorrei spostare il mio sguardo un po' oltre il parlamento, un pò oltre ai presidenti delle camere e al Presidente del Consiglio, vorrei analizzare un attimo il discorso di Napolitano e del suo, ennesimo, richiamo.

Napolitano, classe 1925, un giovanissimo per intenderci, in questi giorni, come crollato dal cielo, ha smesso di visitare i salottini di Roma ed ha cominciato ad alzare i toni, richiamando il governo ad effettuare manovre in tempi brevi, ad essere coeso ed a cercare compromessi per effettuare riforme per il bene del nostro paese. Lo stesso Napolitano che, nella giornata di ieri, ha convocato i leader dei partiti politici in parlamento, per chiedere soluzioni a questa "crisi di governo". Ma come, signor Presidente della Repubblica, si accorge solo ora, dopo 1275 giorni da quell'8 maggio 2008 (giorno in si è formato il governo Berlusconi IV), che c'è qualcosa che non va? Possibile che solo ora si è accorto che il parlamento pensa a varare leggi che favoriscono solo i pochi, ignorando i molti? Ma evitiamo questa discussioni, non mi interessa parlare del fatto che abbiamo avuto un Presidente della Repubblica che è stato ironicamente denominato "dormiente". Vorrei analizzare un fatto, a metà tra la questione politica e la questione costituzionale. Napolitano ha alzato la voce contro l'attuale governo, rimproverandolo di non aver risposto ad alcuni bisogni del paese, scaricando la responsabilità su di esso. E si, ho proprio detto "scaricando la responsabilità", perchè il nostro caro presidente, per quanto possa essere una persona pacata e dall'aspetto rassicurante per il paese, è l'artefice di tutte le leggi ad personam che sono state varate da tre anni e mezzo a questa parte. Vilipendio! Sei un folle! Ma cosa stai dicendo! Questo forse vi passa per la testa leggendo le mie ultime righe, ma vi posso assicurare che non è così, non sono ne impazzito ne tantomeno sto delirando. Voglio citarvi due testi per rendervi più chiare le idee: il primo riguarda un articolo della nostra costituzione, riportando l'articolo 73 e l'articolo 74:

Art. 73.
 Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall'approvazione.
 Se le Camere, ciascuna a maggioranza assoluta dei propri componenti, ne dichiarano l'urgenza, la legge è promulgata nel termine da essa stabilito.
 Le leggi sono pubblicate subito dopo la promulgazione ed entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le leggi stesse stabiliscano un termine diverso.

Art. 74.
 Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione.
Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata.

Il secondo testo è di Carlo Azelio Ciampi, il nostro ex Presidente che ha preceduto Napolitano:

“Io non do consigli a nessuno, meno che mai a chi mi ha succeduto al Quirinale. Ma il capo dello Stato, tra i suoi poteri, ha quello della promulgazione. Se una legge non va non si firma. E non si deve usare come argomento che giustifica sempre e comunque la promulgazione che tanto, se il Parlamento riapprova la legge respinta la prima volta, il presidente è poi costretto a firmarla. Intanto non si promulghi la legge in prima lettura: la Costituzione prevede espressamente questa prerogativa presidenziale. La si usi: è un modo per lanciare un segnale forte, a chi vuole alterare le regole, al Parlamento e all’opinione pubblica”.

Ok, vi viene in mente nulla? Ebbene si, il Presidente della Repubblica promulga le leggi e non il Presidente del Consiglio o il parlamento. Napolitano non ha mai, e ripeto mai, salvo un solo caso se non ricordo male, chiesto una nuova deliberazione, affrettandosi a firmare tutte le porcate che sono finite sulla sua scrivania.
Così come quando Napolitano chiede serietà e coerenza al governo attuale ed alla politica generale, anch'io vorrei chiedere serietà e coerenza al Presidente della Repubblica, magari ammettendo di non aver svolto a dovere il suo compito e di non aver guardato all'interesse del paese. Concludo, lanciando un sasso, il nostro caro presidente ha il compito di preservare la costituzione italiana e di difendere il nostro paese ma, anche se viene ricordato meno frequentemente, ha anche il potere di dichiarare guerra ad uno stato. Mi scusi presidente, citando il grande Gaber, ma in Afganistan, in Iraq, in Libia, non ci siamo andati anche noi? E' inutile prendere per il culo la popolazione parlando di missioni di pace, quelle sono vere e proprie guerre e a dichiararle e Lei. Lei che è garante della costituzione mi può spiegare dov'era quando sfogliava la pagina relativa all'articolo 11, sotto la voce l'Italia <<ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali>> ? Si parla di come si possano trovare i soldi per risanare il debito pubblico italiano, provi a cercare quei milioni che servono per finanziare delle guerre incostituzionali, vedrà, oltre ad evitare spese inutili, molti di quei ragazzi morti nelle Vostre guerre ringrazieranno.




Forse può interessarti anche:

Scritti corsari

giovedì 3 novembre 2011

Scritti Corsari

Avrei tante cose da dirvi oggi, sono accaduti molti fatti in questi giorni ed io ho avuto troppo poco tempo per poter dedicarmi a scrivere qualcosa a riguardo. Stiamo assistendo ad un momento epocale della storia del nostro paese. In questo momento a Cannes, città famosa per il festival del cinema, si sta per riunire il G20. Il G20 che vede al centro della scena la crisi mondiale e i paesi che fanno da apripista alla crisi della moneta europea. Il vertice, però, è stato preceduto da due pre-vertici, uno ieri sera, che ha visto coinvolti il duo Francia-Germania, autonominati commissari dell'unione europea non si sa con quale diritto e la Grecia di Papandreou, che ha dovuto rispondere alle domande riguardanti la scelta di far decidere al popolo se assecondare le richieste della BCE (Banca Centrale Europea) o meno. La scelta del referendum era stata fatta alcuni giorni fa, scatenando l'indignazione della Germania e spiazzando i mercati, che hanno risposto mandando a picco le borse europee. Ma ovviamente tutto quello che accade nel Peloponneso non ci è per nulla estraneo, anzi, se da una parte si è convocata la Grecia, dall'altra, questa mattina, c'è stato l'incontro tra il solito duo Francia-Germania e gli altri due paesi a rischio: Spagna e Italia, quest'ultimo, ormai, più in crisi rispetto al primo. Come si presenterà il nostro paese a questo vertice? beh, difficile dirlo con precisione, ma ieri sera il Consiglio dei ministri ha lavorato fino a tardi, non vi spaventate, solo fino alle 22 e 30, per cercare un accordo per salvare il paese dalla crisi. calderoni, noto e colorito ministro della semplificazione, ha espresso il suo giudizio riguardo all'esito del CdM esclamando <<Ci siamo calati le braghe>>. Ma esattamente cosa contiene? Con fonte La Repubblica riporto alcune voci che sono trapelate sul Maxi-Emendamento:
Liberalizzazioni, privatizzazioni, semplificazioni, infrastrutture, dismissioni del patrimonio pubblico, piano Sud e piano lavoro (ma senza licenziamenti "facili" né tantomeno pensioni), smaltimento dell'arretrato della giustizia civile, credito di imposta per la ricerca, banda larga.
Si parla di cose interessanti, come la Banda Larga e le liberalizzazioni o le dismissioni del patrimonio pubblico, ma io credo, e non sono il solo, che per queste cose sia tardi. Per far passare questo Maxi-Emendamento ci vorrà una maggioranza in parlamento, cosa che sembra invece venir meno in queste ore. Per rendere meglio l'idea, da alcuni giorni si parlava di una lettera che alcuni deputati del Pdl stavano preparando per chiedere al proprio Leader, Berlusconi appunto, di fare un passo indietro e di dimettersi. Questa lettera ieri sera è uscita fuori ed al momento porta la firma di 6 deputati di cui si ignora il nome, per evitare eventi simili a quelli del 14 dicembre.
Infine, ma non meno rilevante, nella mattinata di ieri, e poi anche nel pomeriggio, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, come un fulmine a ciel sereno, ha convocato i Leader di tutti i partiti in parlamento per sentire quali siano le proposte dei vari partiti. Insomma, aria di crisi di governo, che sembra far pensare che si stia toccando il fondo. Questa mattina le borse hanno aperto in negativo e lo spread ha toccato il record storico di 460 punti differenziali, a 500 rischiamo di arrivare alla stessa linea della Grecia.




In questo clima da apocalisse, volevo ricordare oggi, 3 novembre, l'anniversario di morte di un grande poeta e scritto: Pier Paolo Pasolini, a cui ho dedicato il titolo dell'articolo e che vorrei ricordare come un uomo che ha sempre lottato per il bene della società.

martedì 25 ottobre 2011

Il Direttorio, Bonaparte e l'Italia

La bandiera della
repubblica Cispadania
Nei primi mesi del 1796, il Direttorio francese decide di avviare una campagna militare su vasta scala, che vede coinvolta anche il  nostro territorio. In Italia si deciderà, però, dio dare meno importanza alla spedizione e di assegnare il comando a un giovane generale: Napoleone Bonaparte. Egli guiderà l'Armata d'Italia, una compagnia che non vanta di un ottimo equipaggiamento ne tantomeno di una buona organizzazione. Ciò nonostante, Napoleone riuscì ad ottenere numerose vittorie a scapito del Regno di Sardegna, che costringeranno il re Vittorio Amedeo III a firmare un armistizio il 28 aprile dello stesso anno, che si tramuterà, il 15 di maggio, nella pace di Parigi, in cui vengono cedute alla Francia i territori della Nizza e della Savoia. Lo stesso giorno, l'Armata d'Italia entra a Milano. Il 20 di maggio vengono siglati accordi con il Ducato di Modena e Piacenza e con il Ducato di Parma. A cavallo tra maggio e giugno le truppe napoleoniche invadono la Repubblica di Venezia e, contemporaneamente, lo stato Pontificio. Durante l'estate si susseguiranno vittorie ed avanzate, che porteranno all'assunzione del controllo sul Ducato di Modena e Reggio. Il 16 ottobre, per volontà dello stesso generale Bonaparte, a Modena si riunisce il Congresso dei rappresentanti delle città di Bologna, Ferrara, Reggio e la stessa Modena, che deliberano la costituzione di una lega militare. Il congresso di riunirà nuovamente il 27 dicembre dove, nel giro di 3 giorni, viene proclamata la nascita della repubblica Cispadana. Sempre durante uno di questi congressi, il 7 gennaio, verrà decretata la bandiera della repubblica, che comparirà con tre strisce orizzontali (e non verticali come ora) con i colori del bianco, rosso e verde. Il passo successivo è la costituzione. Mentre si lavorava sul progetto costituzionale, però, la repubblica Cispadana verrà divisa. Da una parte Reggio, Modena e Carrara verranno unite alla Lombardia, generando la repubblica Cisalpina, dall'altra i restanti territori della repubblica Cispadana verranno annessi alla Romagna.
Nel giugno del 1797 si verrà a creare la repubblica Ligure, lì dove sorgeva la vecchia repubblica di Genova. Intanto il pontificio cerca, senza risultati, di riapropriarsi dei territori persi, ma la disfatta costringerà a firmare la Pace di Tolentino (19 febbraio 1797). L'esercito francese, intanto, sferra l'offensiva decisiva verso la repubblica di Venezia, giungendo sino a Leoben, invadendo il suolo austriaco e costringendo la casata degli Asburgo a chiedere la resa, con il trattato di Campoformio (17 ottobre). Nel trattato si divide la ormai ex repubblica veneziana assegnando la parte orientale agli austriaci e la parte occidentale sarà aggregata  alla repubblica Cisalpina.
Il 28 dicembre del 1797, a Roma, viene ucciso un generale francese, offrendo al direttorio il casus belli per poter cominciare la guerra con lo stato Pontificio. Guerra che non tarderà ad arrivare, appena un mese dopo, il 10 febbraio, i francesi occupano Roma. I patrioti si affrettano per costituire una repubblica Romana che i francesi riconosceranno il 15 febbraio. Il papa cercò rifugio nel Granducato di Toscana. Il 23 novembre, vista l'occasione, il regno di Napoli decide di attaccare la neo nata repubblica, giungendo fino a Roma. Il 12 dicembre i francesi vanno al contrattacco che li vedrà vittoriosi. Non accontentandosi della vittoria su Roma, i francesi inseguono le truppe borboniche, che sono in ritirata, giungendo fino a Napoli, dove Ferdinando IV sarà costretto a rifugiarsi in Sicilia, protetto anche dalla flotta inglese dell'ammiraglio Nelson. Il 23 gennaio, in modo omologo a quella romana, viene proclamata la repubblica napoletana.
Situazione politica italiana del 1799
Contemporaneamente si apre anche il fronte nel Piemonte, che venne ceduto alla Francia l'8 dicembre del 1798. Tra febbraio e marzio del 1799 vennero occupate la repubblica di Lucca e il Granducato di Toscana. In questo momento la Francia detiene la massima espansione sul territorio Italiano, suddiviso in 5 repubbliche formalmente autonome (Cisalpina, Ligure, Lucca, Romana e Napoletana), un ducato formalmente autonomo (Parma) e le due regioni direttamente controllate dai francesi (Piemonte e Toscana). La Sardegna resterà in mano ai Savoia mentre la Sicilia in mano ai Borbone.

lunedì 24 ottobre 2011

Autosabotarsi

Ieri sera guardavo In onda, il programma che Luca Telese e Michele Porro conducono quasi egregiamente su La7, in cui assistevo ad un confronto tra un vecchio uomo di sinistra e un giovane che vorrebbe superare la vecchia classe dirigente e creare un nuovo movimento di sinistra. I due politici, entrambi molto noti, sono Cofferati e Renzi, il primo ha un corriculum vitea che vanta di posizioni di spicco ed è attualmente europarlamentare; il secondo è un giovane di una nuova generazione politica che è stato prima presidente della provincia di Firenze per poi passare a gestire il capoluogo toscano. Durante la trasmissione ho assistito ad un siparietto davvero comico in cui i due, che ricordiamo, per onor di cronaca, fanno parte dello stesso partito, il PD per capirci, si vedono lontani in troppi, se non tutti, punti di vista. Cofferati ha una posizione molto radicata, molto vicina al sindacato e con ideologie che, onestamente, appartengono ad una politica che non appartiene più ad oggi. Cofferati non capisce che il pugno duro con gli industriale non serve a nulla: dopo la caduta del muro e l'avvento della globalizzazione il mercato dell'industria si è delocalizzato, puntando li dove lo sfruttamento fa da padrona e utilizzare l'ostilità con cui si pone la linea di Cofferati non fa altro che favorire l'uscita delle aziende dal territorio, lasciando sulla strada sempre più lavoratori (Fiat per fare un nome, ma molte altre aziende sono su questo stesso piano).  Renzi, invece, ascoltandolo e non conoscendolo, sembrerebbe un politico più di destra che di sinistra. Il sindaco di Firenze ha posizioni impensabili per uomini della sinistra, appoggiando Marchionne e la TAV. Inoltre ha degli atteggiamenti che, sempre per gli occhi di un esterno, sembrerebbero completamente fuori dagli schemi di quella sinistra che presenta crepature ovunque.
Eppure Renzi è un uomo che ha capito pienamente cosa dovrebbe fare la sinistra oggi. Forse alcune uscite le potrebbe evitare, ma il giovane sindaco ha capito perfettamente che un opera come la TAV, gestita come si deve, creerebbe migliaia di posti di lavoro, generando un rialzo dell'economia e dell'occupazione. Appoggiando Marchionne, Renzi, vuole evitare che la Fiat vadi via dal paese. Magari non appoggia pienamente le posizione di chi vuole la TAV o del padrone della Fiat ma ha perfettamente capito che oggigiorno, purtroppo, non serve più a nulla scioperare o manifestare, si rende conto che il lavoro deve restare nel nostro paese e dare spazio a quei giovani che oggi sono laureai e non hanno lavoro. Non me ne vogliate, non voglio dire che chi manifesta in Val Susa (e non Val di Susa come sento ogni giorno nei tg) siano stupidi, perchè loro tutelano il loro territorio. La TAV è un progetto molto interessante ma, come capito spesso, si fanno i conti senza tener conto della gente, sembra di essere tornati al Congresso di Vienna del 1815, quando i territori furono divisi sulla carta, senza tener conto delle popolazioni. Bene, qui siamo tornati a quei tempi, dove si prende una cartina e si uniscono i punti tra Lione e Torino, come nei giochini della Settimana enigmistica. Se si fosse tenuto conto della gente e del territorio (si anche la natura ha la sua voce in capitolo, l'uomo non può cementificare tutto) , probabilmente il progetto sarebbe già bello e pronto e, magari, i cittadini dell'attuale Val Susa sarebbero i primi ad acclamarla. Stesso discorso, però, non si potrebbe fare con Fiat, per motivi gli ho già spiegati precedentemente. Quando parliamo della Fiat dobbiamo tener conto ai numeri che l'azienda ha, dobbiamo tener conto dei lavoratori e di quanti rischierebbero il posto in caso Fiat, come sta già facendo, decidesse di lasciare il paese. Qui però parliamo di un azienda che ha ricevuto finanziamenti molto grandi da parte dello Stato e che quindi, in quanto creditore, può e deve mostrare i denti e saper far valere le sue ragioni.
Divisioni all'interno del PD al punto da
vedere due Leader della coalizione
Ma torniamo ai nostri due politici, Renzi e Cofferati, e dei loro discorsi, anzi, vorrei suffermarmi sul tipo di linguaggio. I due, come fa notare ad un certo punto Telese, si danno del lei. Soprendente, stiamo parlando di due esponenti della sinistra, dello stesso partito, che dovrebbero conoscersi in quanto persone che ricoprono cariche importanti ma che, su confessione dello stesso Renzi, non si sono mai conosciuti. Ma di che cosa stiamo parlando? Fermiamoci un secondo, c'è qualcosa che non va. Come è possibile che esponenti di alto rilievo dello stesso partito non si siano mai conosciuti? Come sia possibile che la sinistra, tanto democratica e tanto aperta a dei tavoli comuni, abbia persone al suo interno che vivono in due mondi diversi? Ci rendiamo conto che l'attuale PD, come venerdi scorso Crozza ha ricordato, parodicamente, nel suo programma, sia divisa in almeno 6-7 correnti completamente diverse? Possibile che all'interno dello stesso partito ci siano idee completamente opposte tra loro? Come si fa a votare un partito in cui si crea una differenza netta e, addirittura, generazionale anche all'interno della stessa corrente? Basti pensare a due grandi protagonisti del PD, Dario Franceschini, attualmente capogruppo alla Camera del suo partito e Ignazio Marino. Entrambi sono catalogati all'interno della corrente di franceschini ma basterebbe ascoltare Marino per rendersi conto che sono due mondi diversi. Forse la soluzione migliore sarebbe fare un vero tavolo comune, dove il PD (ma non solo) ascoltasse i propri amministratori locali, per rendersi conto di cosa voglia la gente e di come la politica, come concepita da chi sta ai vertici, non è più capace di dar voce ai propri elettori.

Forse può interessarti anche:

Cara Emma ti scrivo
Ipocrisia PD

sabato 22 ottobre 2011

Il perimetro romano

Una settimana fa a Roma sono avvenuti gli scontri che hanno riempito la scena dell'opinione pubblica di questi giorni. Le reazioni del sindaco Alemanno è stata molto dura, quella di bloccare i cortei per un intero mese. Ma io voglio tornare a parlare di quel giorno, di quel 15 ottobre, in cui ci sono alcuni punti che non si affrontano da moltissimi programmi di informazione. Io voglio tornare sulla questione dovuta al fatto che la polizia ha agito nel peggior modo possibile (escludendo quella di provocare vittime). Cosa è successo vorrei spiegarvelo con un analisi da un punto diverso da quella con cui si è analizzato, ovvero da un occhio che vede il corteo dall'interno, vivendo tra la gente e sentendo l'indignazione e la protesta dei manifestanti non solo nei confronti dei poteri ma anche rivolto ai black block ancor prima che avvenissero i disordini.
Il corteo è partito in modo pacifico, si sa, quello che non si è detto è che i poliziotti in Via Cavour, luogo dove il corteo è sfilato inizialmente, non erano presenti. Non erano presenti perchè tutte le forze erano concentrate a presidiare il perimetro della "zona rossa". Che cos'è la zona rossa? Rispondo velocemente dicendo che è un perimetro, ovviamente immaginario, cui al suo interno risiedono i palazzi del potere. La polizia, dunque, non copriva i cittadini, non proteggeva le dimore dei romani, erano a presidiare quei pochi che sono protagonisti della scena politica. Voglio portare a notare una citazione, dai cui fonte è nota a tutti, ovvero Wikipedia:
<<Roma  un comune speciale italiano di 2.770.822 abitanti, capoluogo della provincia di Roma, della regione Lazio e capitale della Repubblica Italiana.  È il comune più popoloso e più esteso d'Italia ed è tra le maggiori capitali europee per grandezza del territorio; per antonomasia, è definita l'Urbe e la Città eterna.>>

Ok, ora voglio analizzare due numeri, il primo è quello riguardante il numero di abitanti, che è di 2.770.822 (due milioni settecentosettanta mila e ottocentoventidue) abitanti, forse neanche chi vive a Roma si rende conto di quanto siano, ma sicuramente chi gestisce l'ordine pubblico deve tener conto anche a questo fattore. Il secondo dato che voglio mettere in questa discussione è quello del numero delle persone presenti nella "zona rossa". Il numero di queste persone è composto per lo più da 630 Deputati e da 315 Senatori per un totale di 945 onorevoli, a cui si aggiungono un numero pari, se non leggermente superiore tra ministri, viceministri, commissari, portaborse e altro personale. Ora, conti alla mano, forse ci si rende conto che il numero dei protetti all'interno della "zona rossa" è leggermente inferiore al numero della popolazione romana. Nonostante ciò, tutto il contingente delle forze dell'ordine era concentrato in quel perimetro, ignorando completamente i disordini che accadevano fuori dal campo di vista della zona.
Possibile che si ignori completamente la popolazione per salvare quei pochi che si rifugiano dentro questi palazzi dei poteri? Possibile che Via Cavour vada a fuoco e i poliziotti, che non possono non aver visto il fumo che sale, non si possano muovere delle loro posizioni per andare in soccorso? Possibile che i black block siano stati individuati molto prima dell'inizio dei disordini e che nessuno era li per prevenire quello che è accaduto? Possibile che alcuni ragazzi, pacificamente con le braccia alzata, segno in tutto il modo di resa, siano stati colpiti dai poliziotti? Che cosa sta accadendo nella testa dei poliziotti, ovviamente senza generalizzare, che reagiscono ad ogni tipo di contestazione attraverso la violenza? Tra qualche giorno ci sarà un'altra manifestazione il Val Susa per contestare la creazione di quel maxi-progetto, assolutamente contestabile, che è la TAV. I black block hanno già annunciato che saranno presenti e che creeranno disordini così come si sono creati a Roma. La polizia verrà messa nuovamente alla prova, questa volta la violenza potrebbe essere addirittura superiore a quella di sabato corso e i valsusini non saranno, prevedo, così lontani come gli indignatos che hanno sfilato nella capitale. Già in passato ci sono stati episodi di violenza e il clima che si sta generando è sempre più teso.

giovedì 20 ottobre 2011

Quando comincia il Risorgimento

Sulla data della nascita del Risorgimento si è generato un dibattito che ha dato vita a tre date possibili. La prima, con riferimento alla metà del '700, con l'elaborazione intellettuale settecentesca e l'esperienza del dispotismo illuminato, legato soprattutto alle sue componenti, monarchiche e moderate.
La seconda, individuando l'inizio del periodo risorgimentale con l'arrivo nel nostro paese dell'Armata D'Italia, guidata da Napoleone, nel 1796, e lo sconvolgimento politico-istituzionale che ne conseguì. Infine, come ultima data, il 1800 come l'anno in cui Bonaparte riorganizza le istituzioni, prima in veste di console e poi in quelle di imperatore. Quest'ultima tesi, però, è meno frequente delle precedenti due. Per essere più precisi, occorre suffermarsi sul periodo del Triennio repubblicano (1796-1799) dove si cominciò a parlare di Risorgimento della nazione; si stipularono veri e propri progetti di costruzione di uno stato unitario; fu in questo periodo che le masse cominciarono a muoversi in questo verso.

Che cosa vuol dire Risorgimento

Ok, seconda piccola introduzione,  bisogna suffermarsi un secondo sul significato di Risorgimento e da dove derivi. Nei dizionari italiani, la parola Risorgimento, assume il significato di resurrezione. La parola assumerà un ruolo di slogan per i nazional-patriottici, che la utilizzeranno per promuovere vere e proprie campagne, per poi arrivare nell'800 dove la parola verrà utilizzata nel lessico propagandistico, alludendo ad una vera e propria resurrezione della patria.
 L'uso del termine, in realtà, risale intorno alla metà del 1700, quando il termine compare su riviste, come Il cafe dei fratelli Verri o, in altri casi, viene utilizzato da autori, come Bettinelli e Galdi (quest'ultimo sul finire dell'800), auspicando ad un <<risorgimento della cultura italiana dopo il XII secolo>>. Vittorio Alfieri parla dell'Italia e si rivolge come in un discorso diretto ad essa sperando che <<un giorno (quando ch'ei sia) indubitabilmente sei per risorgere, virtuosa, magnanima, libera, ed Una>>. Durante il periodo napoleonico, i riferimenti all'unità nazionale, crescono in modo esponenziale. Mazzini, negli scritti sucessivi alla fondazione della Giovine Italia (1831), assegnò il compito di realizzare <<il Risorgimento italiano>>. Tanto stette a cuore la parola rinascimento agli italiani che lo slogan, negli anni '30 e '40 del milleottocento, entra nel lessico politico. Nel decennio del 1880, la parola entra ufficialmente nel lessico storiografico attraverso Tivaroni e il più noto Carducci. Nel 1907 viene costituita la Società Nazionale per la Storia del Risorgimento.

lunedì 17 ottobre 2011

Virginia Woolf - Una stanza tutta per sé

Una stanza tutta per sé, che cosa mai sarà? A cosa mai servirà? Virginia Woolf ci da una soluzione ai nostri quesiti. Il saggio parla di un tema molto caro all'autrice inglese, quella della donna. Virginia cerca di spiegare il ruolo della donna e il suo rapporto con il romanzo. Tutto quello che è scritto parte dai due incontri che la scrittrice effettua all'università di Cambridge nel 1928. Il libro si articola in vari episodi che portano dei temi diversi: la donna nel romanzo, la donna autrice del romanzo, la donna nella storia della società, la donna per il romanzo. Vari punti di vista che la donna assume rispetto alla letteratura. Woolf effettua un analisi sul perchè la donna sia poco presente nel ruolo di romanziere e cerca di dare una spiegazione che argomentare nei vari capitoli/episodi del libro. La frase portante del saggio è quella che ricompare molto spesso sfogliando le pagine del libro, quella in cui si fa chiaramente richiesta di "una stanza tutta per sé" in cui le donne potessero concentrarsi e in cui avessero potuto scrivere in tranquillità, senza la paura di essere scoperta degli uomini o dalla madre, che l'avrebbero richiamata a seguire gli schemi a cui la donna era designata. L'altra frase, che completa la voce precedente, è quella in cui si affianca a "una stanza tutta per sé" le "500 sterline al mese". Qui si fa denuncia di un altro gran disagio, quello di una mancata indipendenza economica. Le donne, fino a pochi decenni fa, erano strettamente dipendenti  dal sesso maschile, che impedivano loro di spuntare nel mondo. La donna era rinchiusa dentro le mura di casa e la sua vita si limitava a quella di cucinare, accudire i bambini ed andare al mercato. Solo con la rivoluzione industriale si è cominciato ad assumere la donna in grande industrie, ovviamente sottopagandola e sfruttandola. Quelle 500 sterline sono fondamentali, per la Woolf, per creare una indipendenza non solo economica ma anche intellettuale. Essendo autonoma, essa poteva esprimere altri temi, poteva esprimere concetti con voce diversa e non avrebbe temuto ripercussioni. La libertà intellettuale è un qualcosa a cui Virginia Woolf fa molte volte riferimento. Tutto questo tema va inserito dentro quel grande filo portante che è la differenza dei ruoli da parte dei due sessi e la diseguaglianza che c'era a quel tempo (e che credo ci sia tutt'ora). L'autrice ricorre ad un esempio pratico, in cui parla di una ipotetica sorella di Shakespeare di egual intelletto e più volenterosa e meno vivace del fratello. Ella poteva essere brava e volenterosa ma all'interno della sua famiglia non avrebbe avuto opportunità e, costretta a scappare per rincorrere la sua passione, non avrà più fortuna e alla fine sarà costretta a tornare negli schemi per lei designati. Il saggio porta una grandissima riflessione che  evidenzia come la donna sia considerata inferiore degli uomini, denunciando questo sessismo nell'arco dei vari secoli. Il saggio, al suo interno, presenta anche una leggera vena poetica, che va a spiazzare il lettore che non si aspetta frasi poetiche al suo interno.
Con la frase " Sarebbe mille volte un peccato se le donne scrivessero come gli uomini, o vivessero come gli uomini, o assumessero l’aspetto degli uomini; poiché se due sessi non bastano, considerando la vastità e la varietà del mondo, come ci potremmo arrangiare con uno solo? Forse l’educazione non dovrebbe sottolineare ed accentuare le differenze, invece delle somiglianze?" l'autrice vuole calcare il fatto che i due sessi debbano rimanere distinti nel loro modo di vivere, nella loro mentalità e nella loro espressione. Ella non chiede l'uguaglianza mentale, bensì la parità dei diritti, fondamentali per far si che la cultura si posso ampliare con opere di autrici del gentil sesso. Il saggio offre molti spunti di riflessione, non compare mai troppo estremo, ne a favore delle donne ne troppo critico verso gli uomini, è un ragionamento su cui Virginia Woolf vuol fare muovere il lettore e su cui ci si può facilmente orientare. Il libro non offre una velocità di racconto, ma questo non esclude il fatto che il libro ti possa trasportare attraverso i suoi temi. 

domenica 16 ottobre 2011

Obbiettori di coscienza

Roma, il giorno dopo. Quello che è successo ieri a Roma è qualcosa di incredibile. Ormai tutti hanno visto le immagini di tutto quello che è avvenuto ieri nelle vie della capitale, degli scontri e delle devastazioni. La violenza da parte dei black block viene subito condannata da parte di tutti gli schieramenti politici, tutti a dire che la violenza è una cosa che non si accetta. L'opposizione, giustamente, punta il dito anche contro le forze dell'ordine. E si, la polizia, forse molti pensano che svolgano il loro lavoro e altri ancora pensano che sia giusto darne di santa ragione ai manifestanti. Potrebbe anche essere, ma bisogna ricordarsi che la polizia sono dette anche forze dell'ordine, e come tali dovrebbero, come minimo, evitare di dare cattivi esempi.
La polizia ha svolto un compito difficilissimo ieri, quello di evitare il peggio durante la manifestazione, e diciamo che ci sono riusciti, ma non tutti hanno svolto il loro compito. Ci sono molti video in cui i poliziotti, e non è la prima volta, prendono a manganellate una persona che ha le braccia alzate, segno di resa, o infieriscono in modo barbaro su persone che sono già a terra e magari anche incoscienti.
Quello che si sta venendo a creare, da anni, è una doppia faccia della stessa moneta. Da una parte i poliziotti che fanno il loro mestiere seguendo il codice d'onore e  rispettando il loro compito, dall'altra agenti che si fanno prendere dalla foga e cominciano ad utilizzare impropriamente la violenza, credendo che in questo modo si plachi l'ira del popolo. Gli incidenti tra polizia e manifestanti sono sempre stati presenti da anni, il clima che c'è nelle piazze è molto teso, si respira un aria che sembra quella che potrebbe portare ad una guerra civile. Ma mentre da una parte non si può che storcere il muso e pensare che tutto questo sia una degenerazione di un corteo di pacifici manifestanti, dall'altra si può provare ad abbozzare un sorriso vedendo gli stessi manifestanti andare a bloccare il black block e a far si che il corteo rimanga pacifico. E' bello vedere un corteo che vuole a tutti i costi restare pacifico, quello dei black block è stata un'azione controproducente. I loro obbiettivi, si sono viste dalle immagini, sono state le banche, prese d'assalto e danneggiate in tutti i modi possibili. Ma le banche non sono state l uniche, le macchine di civili e alcune botteghe, di cui i proprietari magari erano scesi a manifestare, sono state date alle fiamme, senza fine e senza scopo. Ad andare in fiamme anche una camionetta della polizia, presa d'assalto dai black block, fortunatamente gli agenti sono riusciti a scappare dal veicolo. Su di esso, mentre prendeva fuoco, è comparsa la scritta "Carlo vive", in riferimento al giovane ucciso dieci anni f a Genova durante il G8.
Ovviamente si è venuto a creare anche la polemica da parte dei politici che cominciano ad etichettare il corteo come composto completamente da teppisti e accusano giornalisti di utilizzare termini inappropriati quando definiscono la maggior parte del corteo come pacifico. Fortunatamente ci sono ancora giornalisti seri, all'interno della Rai, che hanno il coraggio di denunciare questo fatto.
Infine si è alzata anche la voce di Maroni, che parla in controcorrente rispetto a tutta la maggioranza e, con senso di responsabilità, parla di situazione critica e che ieri poteva scapparci il morto. Fortunatamente non è stato così. La parole del ministro dell'interno, però, erano già state pronunciate tempo fa dal leader dell'IDV Antonio Di Pietro, che si riferiva alla possibilità che ci potesse scappare un morto in riferimento alle varie proteste e del clima che nel paese sta diventando sempre più caldo.
La situazione è tragica, la gente impedisce anche di fare i servizi ai giornalisti, c'è una tesissima tensione nelle piazze. Vedere la foto di Roma, il giorno dopo gli scontri, rende l'idea di quello che è stato ieri e sul filo sul quale noi italiani stiamo camminando.

giovedì 13 ottobre 2011

Che cos'è il Risorgimento?

Ma prima di cominciare tre piccole premesse che pubblicherò a puntate. Il primo tema importante che vado a spiegare è:
Che cos'è il Risorgimento?
Nel 1861 si formò il regno d'Italia, dopo secoli di frammentazione statale la penisola è, finalmente, riunita sotto un unico stato. L'unità verrà completata negli anni successivi con l'annessione del Veneto (1886) e del Lazio (1870). Il tema dell'unificazione fu per secoli al centro di discussioni fino ad arrivare all'inizio dell'800 dove il discorso arrivò al suo apice.
Seppur in passato si era più volte evocato l'unità, con la Rivoluzione francese, gli italiani troveranno un nuovo spunto e, sulle parole di Rousseau, si trovano impersonificati in una sola nazione di individui legati tra loro da tratti comuni e dalla libertà di esprimersi politicamente all'interno di uno stato creato dagli italiani per gli italiani.
L'obbiettivo verrà raggiunto, ma le difficoltà per ottenerla saranno molteplici. Il concetto di nazione sembrava trovare pochi elementi di concretezza nel nostro caso, come in Francia, Gran Bretagna e Germania. Il legame, o collante se vogliamo, che ci potrebbe permettere di parlare di unità nazionale risiede nella letteratura e sulla tradizione della nostra cultura. Assieme ad essa troviamo anche la confessione religiosa. Osservando meglio questi due aspetti, però, ci si rende conto che nel caso della religione abbiamo la creazione di una comunità sovranazionale. Per quanto riguarda la letteratura, essa era destinata solo ad una elitè molto ristretta. Infatti, in Italia, nel momento della sua unificazione, soltanto il 22% della popolazione era capace di leggere e scrivere. I più utilizzavano il dialetto per comunicare, diverso a seconda della zona. Da questo punto di vista, gli elementi di coesione nazionale sono assai tenui. Economicamente parlando, non risultano esserci maggiori prospettive. Il prodotto  italiano era, per la maggior parte, destinato ai mercati esteri, non favorendo alcun mercato nazionale a cui la borghesia italiana possa aspirare. Il movimento nazionale, dunque, opera avendo diversi ostacoli, di natura sociale, culturale o politica. Tuttavia, nonostante l'inizio del XIX secolo faccia pensare diversamente, l'Italia riuscirà a concepire il suo obbiettivo di unità.

Il Risorgimento italiano

Ok, so di essere stato assente per un pò di giorni, chiedo scusa ma l'università mi ruba molto tempo, per farmi perdonare della mia assenza ho deciso di cominciare un percorso con voi, in cui vorrei provare ad unire i miei studi con il blog. Il mio intento è quello di ricostruire il Risorgimento italiano attraverso l'utilizzo di un manuale di supporto: "Il Risorgimento italiano" di Alberto Mario Banti. Il manuale in questione è un ottimo punto di riferimento per chi vuole affrontare questo tipo di argomento; la praticità e la facilità con cui viene spiegato tutto il periodo è davvero notevole.
Bene, detto questo vorrei parlarvi del percorso a cui andremo incontro. Nel mio studio cercherò di effettuare una mia elaborazione dei vari paragrafi del libro, riscritti completamente ed evitando di effettuare una semplice trascrizione di ciò che è scritto nel libro. Spero non annoiarvi troppo e di essere il più chiaro possibile, in caso contrario contattatemi tranquillamente.

lunedì 10 ottobre 2011

Il Quinto Stato

Che cosa sta accadendo in Italia in questi ultimi giorni? Forse niente di significativo, forse niente che abbia un fine. I giornali di questi giorni si stanno concentrando su argomenti secondari, a cui dedicare intere pagine, che in altri tempi non avrebbero ottenuto. Invece sono accaduti degli eventi importanti, i telegiornali hanno sorvolato e i giornali hanno prediletto altro.  Prima di proseguire mi pare d'obbligo spiegarvi perchè ho scelto questo inizio. Io ogni giorno seguo vari dibattiti (per lo più su La7 o video da internet) e in questi giorni mi è capitato molto spesso di sentire risposte dei giornalisti, verso politici della maggioranza, che l'affrontare questioni secondarie è dovuto anche al fatto che in questi giorni non ci sono notizie rilevanti. Le notizie rilevanti invece ci sono state, in particolare, vorrei sapere come mai non si è parlato della protesta studentesca del 7 ottobre. Non un approfondimento, qualche citazione nei talk show e qualche minuto nei telegiornali. Perchè questa rivolta è passata così inosservata? Perche questa protesta, che si rinnova, ormai, annualmente, viene sempre ignorata e dopo pochi giorni sembra come se non fosse mai accaduto nulla? Perche si continua a discutere dell'ipotetico condono che il governo non attuerà mai? Perchè si parla di tutt'altro? Qui si torna ad un tema molto importante, non il tema in cui si parla di qualcosa per evitare di discutere di argomenti più seri, ma il tema che quello della scuola, essendo una protesta con cadenza periodica, perde di importanza a livello di notizia. E' una regola giornalistica, una legge statistica, un evento più probabile fa meno notizia rispetto ad uno prevedibile e/o abituale. Quello degli studenti non fa più notizia, la protesta degli operai non fa più notizia, il lavoro in condizioni pessime non fa più notizia. La notizia sono le sgualdrine di Arcore o Steve Jobs che viene osannato come un Dio. Piccola parentesi, Steve Jobs era un dittatore aziendale, un uomo che sfruttava i lavoratori con orari di lavoro mostruosi (per maggior approfondimenti consiglio I pirati della Silicon Valley). Le notizie hanno perso valore in se per se, ormai si punta alla scena, si punta a colpire l'ascoltatore e il lettore, la discussione politica è diventa una vera e propria buffonata. Gente che accusa l'altra fazione di avere un indagato nel gruppo, chi attacca il PDL su Milanese e chi, come un registratore, per rispondere parla di Penati. La discussione poi diventa un battibecco, monotono ormai, in cui si perde il discorso e si parla d'altro.
Il Quinto Stato
Perchè questi Talk Show invece di invitare gente come la Santanchè, per citarne una, che urlano ed impediscono una discussione seria, non invitano su una poltrona un lavoratore? Perchè invece di uno Sgarbi, che sa soltanto insultare e credersi di essere chissà chi quando davanti a lui ha persone che sono almeno tre volte meglio di lui, non invitano un ragazzo universitario, ma anche liceale, per discutere del futuro, dell'attualità secondo il loro punto di vista? Perchè bisogna prendere le informazioni dai soliti quattro politicanti che si siedono sulla loro poltrona e dicono sempre le stesse cose? Io vorrei che si parlasse di argomenti seri, per me non è un argomento serio parlare di prostitute o parlare di condoni, questi sono insulti per chi non ha lavoro o per chi non ha futuro. L'Italia è un paese in decadenza, abbiamo pochissime speranze di futuro, qui andiamo incontro ad uno stallo politico, economico e sociale. Siamo al baratro, i governi di questi anni, destra e sinistra, hanno razziato la scuola, la sanità, il lavoro e l'economia del paese, hanno distrutto tutto ciò che c'era. Anni fa questo paese era la culla della cultura, della medicina, del  lavoro, noi eravamo l'America, quella che si sogna e che i nostri nonni speravano di vedere. Il miracolo italiano c'è stato, ha avuto un ruolo fondamentale nella storia e ha lasciato il suo segno. Ora invece cosa ci rimane? Ci rimane una malapolitica e una cattiva gestione delle nostre risorse. Abbiamo un territorio che garantisce un turismo che ci permetterebbe di vivere di rendita. Basterebbe poco, veramente poco, basterebbe investire in qualcosa che altri paesi non possono avere, che neanche la Cina può produrre, noi abbiamo la cultura, abbiamo i monumenti, la storia, abbiamo Roma. Basterebbe davvero poco, non bisogna far pagare 5 euro l'accesso ad un monumento ma bensì 1-2 euro, questo frutterebbe molto più che un biglietto di 5 euro perchè la gente sarebbe più incentivata a scoprire la nostra storia, il nostro passato e tutto quello che noi siamo stati e che noi siamo: italiani.
Gli studenti chiedono solo questo, chiedono che la nostra cultura, il nostro e il futuro del paese sia preservato, chiedono di lasciare ai loro figli un Italia in cui sperare, un mondo in cui vivere e non sopravvivere. Gli studenti di tutto il mondo si sono stancati di questa politica capitalista dove le persone sono numeri, i giovani sono stufi di vedersi cancellare il futura da persone che quel futuro non lo vedranno. I giovani si sono accorti che il mondo deve cambiare, è finita la politica del dopoguerra in cui l'industria doveva produrre e consumare. I giovani sono come la cartina tornasole, quella che serve per giudicare se una sostanza è acida o basica, i giovani sono un qualcosa che più imparziale non c'è. Nei cortei non ci sono comunisti, ci sono ragazzi, di destra, di sinistra, anarchici o apolitici. Non c'è la politica dentro un corteo dei giovani, i cartelloni e bandiere politiche vengono fatti togliere dagli stessi organizzatori, non c'è un sindacato, i ragazzi non ne hanno uno, ci sono solo persone che guardano i loro sogni che si allontanano sempre più e i media lasciano loro messaggi di degenerazione. I media lasciano il messaggio che tu puoi bypassare tutto il sistema offrendo il tuo corpo come merce o vendendo il tuo voto per ottenere successo. L'indignazione è molta, i ragazzi non ci stanno a vedere morire questi valori, i ragazzi sono in piazza perchè lottano per loro, per i loro padri e per i loro figli.